INFO SALUTE SARDEGNA
Il malato deve guidare il medico, come il cane il cacciatore.
[Henry de Montherlant (1896 - 1972) Scrittore francese]
Direttore Sandro Alfonso
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ASL Sassari
C.U.P. Centro Unico Prenotazione da telefono fisso - numero 1533 gratuito da telefono cellulare - numero 070.27.64.24. Orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 8:00 alle 18:00 |
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TRIBUNALE PER I DIRITTI DEL MALATO
Il Tribunale per i diritti del malato (TDM) è un'iniziativa di Cittadinanzattiva, nata nel 1980 per tutelare e promuovere i diritti dei cittadini nell'ambito dei servizi sanitari e assistenziali e per contribuire ad una più umana, efficace e razionale organizzazione del servizio sanitario nazionale. Il TDM è una rete costituita da cittadini comuni, ma anche da operatori dei diversi servizi e da professionisti, che si impegnano a titolo volontario (circa 10.000). Sardegna CA Cagliari via Ariosto 24 09129 Tel. 070/482526 070/482526 - [email protected] |
Ospedali dove una frattura del collo del femore viene operata entro 48 ore.
La classifica degli ospedali virtuosi (in verde, con la percentuale di pazienti operati entro 48 ore) e di quelli meno efficienti (in rosso)
Dati Agenas - fonte Il Sole 24 ORE - 8 marzo 2012
------------------------------------------------------------------------------------------- La frattura del collo del femore rappresenta un episodio che in ortopedia andrebbe trattata nel giro di poco tempo, anche in vista di una migliore e più facile riabilitazione del paziente. Ma non tutti gli ospedali sono particolarmente virtuosi in questo senso. Ci sono strutture sanitarie in cui il paziente viene sottoposto ad un intervento chirurgico nel giro di 48 ore. È il caso ad esempio dell’ospedale Villa Scassi di Genova, del Presidio Ospedaliero S. Francesco d’Assisi di Salerno e dell’Ao Brunico di Bolzano. In questo caso vediamo come sia il Nord che il Sud Italia hanno i loro punti di riferimento di eccellenza. Alla Puglia spetta invece il record negativo, con percentuali poco più del 3% di casi risolti nel giro di 48 ore e con due strutture ospedaliere a Foggia: l’ospedale Teresa Masselli S. Severo e l’Ao Ospedali Riuniti. Altro record negativo spetta all’Ospedale Marino Regina Margherita di Alghero, in Sardegna.
fonte http://www.tantasalute.it/articolo/i-migliori-e-peggiori-ospedali-italiani-la-classifica-per-tipologia-di-intervento/38009/ |
Ospedali dove l'asportazione della cistifellea (colicistectomia) avviene per via laparoscopica, l'operazione meno invasiva per questa patologia. Dati in percentuale
Dati Agenas - fonte Il Sole 24 ORE - 8 marzo 2012
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L'ACUFENE
- Acufeni: cosa sono
- Cause dell'acufene
- Circolo vizioso.
- Soffro di “tinnitus”: cosa posso fare?
- Elaborazione dell’informazione acustica.
- Il significato di acufene.
- Le risposte condizionate.
Acufeni: cosa sono?
Acufene (in inglese tinnitus) è un termine medico riferibile a tutti i tipi di ronzii dell'orecchio o della testa che non sono dovuti ad onde sonore provenienti da una fonte esterna. E' un problema molto comune, secondo vari studi esso colpisce il 10-17 % della popolazione. Solo certi tipi di "tinnitus" possono essere uditi dall'esaminatore esterno. Questi suoni somatici (suoni del corpo chiamati acufeni oggettivi) devono essere distinti dall'acufene soggettivo, che rappresenta la maggioranza degli acufeni e non può essere percepito dall'esaminatore. Il tinnitus è un disordine funzionale piuttosto che una vera e propria malattia, sebbene possa essere abbastanza invalidante. Ha origine in qualche punto della via uditiva, che parte dall'orecchio fino ai centri dell'udito del cervello. Nonostante venga considerato un disturbo benigno da un punto di vista medico, può causare una grande quantità di angoscia.
Cause dell’acufene.
Cause del tinnitus oggettivo:
- stenosi delle arterie del collo
- tumori fortemente vascolarizzati
- malformazioni cardiache, valvole artificiali
- contrazione dei muscoli dell'orecchio medio o del palato
- tuba d'Eustachio aperta
Cause del tinnitus soggettivo:
- sordità improvvisa
- malattia di Mènière
- trauma acustico (da rumore o cronico)
- presbiacusia
- sordità ereditaria dell'orecchio interno
- colpo di frusta o colpo alla testa con e senza frattura
- tumori benigno del nervo acustico (neurinoma)
- farmaci ototossici
- otosclerosi
- cervicale
Circolo vizioso
L’acufene è una sensazione vera, di origine oto-neurologica. Sebbene non rappresenti un disordine psicologico, le conseguenze che esso determina rientrano in questa sfera. Tali risultano ad esempio l’apprensione circa le cause del disturbo e la sua prognosi nonché le ripercussioni sullo stile di vita e l’attività lavorativa. L’acufene può anche causare o aggravare tensione, perdita di concentrazione, insonnia e depressione. Spesso questi fattori, uniti ad una eccessiva attenzione al ronzio, innescano circoli viziosi con relativo aumento dell’acufene, che a sua volta incrementa l’ansia, con il risultato di aggravare ulteriormente il ronzio. Inoltre i problemi psicologici o emotivi preesistenti o concomitanti così come stress esterni possono determinare un incremento dell’acufene e dell’ansia ad esso correlata. I pazienti hanno bisogno di assistenza per interrompere questi circoli viziosi, e quindi di informazione e sostegno. Un certo grado di abitudine può anche realizzarsi spontaneamente, tuttavia l’approccio tradizionale di dire ai pazienti che non c’è niente da fare, che l’acufene persisterà e bisognerà imparare a convivere con esso, può avere effetti devastanti su questo processo.
Soffro di “tinnitus”: cosa posso fare?
I sofferenti di acufene hanno bisogno, prima di tutto, di un’approfondita valutazione medica ed audiologica. Molti pazienti affetti da acufeni lo considerano un sintomo grave; infatti, molte persone pensano che un acufene sia il campanello di allarme di una grave patologia nascosta. Altri sono convinti che l'acufene significhi un danno permanente all'orecchio oppure una limitazione temporanea della capacità uditiva. Altri ancora associano l'acufene a tumori cerebrali, problemi vascolari o malattie mentali . Queste preoccupazioni sono spesso infondate. In secondo luogo, devono avere una chiara e realistica informazione sulle loro condizioni. E’ solo allora che può essere stabilito il programma di trattamento. Durante il trattamento, avranno necessità del supporto di un team di riabilitazione qualificato.
Elaborazione centrale dell’informazione acustica: udito, percezione, sensazione.
L’informazione acustica diviene più complessa una volta che ha raggiunto il cervello con le sue numerose connessioni. Ogni successivo centro uditivo accresce il contenuto dell’informazione degli impulsi che viaggiano nelle vie uditive. Durante il processo, i parametri sonori puramente fisici sono percepiti per scomparire lentamente, laddove il significato diviene più importante: la curva delle pressioni di un semplice suono lentamente da origine al contenuto di una frase. Quando noi ascoltiamo musica, è la melodia che è alla fine percepita. Per sopravvivere, un animale deve essere abile a scoprire i suoni che giocano un ruolo importante nella sua vita, e specialmente quelli che richiedono una reazione immediata. In questo modo, gli animali percepiscono suoni che segnalano la presenza di un predatore, o di una preda. Questi suoni sono di rado veramente rumorosi. Gli uomini si comportano allo stesso modo: una mamma si sveglia ogni volta che il suo bambino piange, sebbene altri suoni molto più alti (magari un temporale), possono non interferire col suo sonno. Così, consciamente o inconsciamente, la percezione dell’informazione acustica non solo porta con se il significato, ma genera anche emozioni. Questa fase finale è chiamata sensazione. Anatomicamente, può essere spiegata con la presenza di connessioni fra la via uditiva ed il sistema limbico, una parte del cervello che è correlata agli stati emozionali e dell'apprendimento, che è responsabile del nostro umore.
Il significato di acufene.
Nel 1953 Heller e Bergman realizzarono un semplice e classico esperimento. Misero 80 persone (studenti universitari normoacusici) singolarmente in una camera completamente isolata acusticamente per cinque minuti ciascuno, chiedendo loro rilevare qualunque suono potesse essere udito. I pazienti pensarono di essere sottoposti ad un test dell'udito, cioè che fossero loro inviati suoni di diversa intensità e frequenza, ma in realtà sperimentarono cinque minuti di totale silenzio. Il 93% di loro riferirono di aver udito ronzii, fischi e suoni tipo pulsazioni, sensazioni sonore simili a quelle che riferiscono le persone con problemi di acufene. Questo semplice esperimento permette a quasi ognuno di noi di rilevare come un suono, l'attività elettrica che è costantemente presente in ogni cellula nervosa delle vie acustiche. Anche se alcune zone del sistema uditivo sono più attive di altre, ogni singolo neurone delle vie acustiche, può contribuire, in un certo senso, alla percezione finale dell'acufene.
Le risposte condizionate
Una risposta condizionata è una reazione automatica verso uno stimolo esterno: per esempio un suono. Una volta che la risposta è appresa essa avviene automaticamente, senza bisogno di pensare consciamente, quando il soggetto viene esposto a questo particolare suono. Qualsiasi tipo di risposta può essere indotta da un qualsiasi tipo di suono. La forza della risposta dipende dalla forza del rinforzo e non dai parametri del suono; in particolare dalla differenza tra la sua intensità fisica e il contesto. Per esempio, camminare in una strada buia in una città straniera in piena notte porta ad ascoltare anche il più piccolo rumore ed essere in allarme sentendo il suono dei passi, o vedendo un’ombra su una porta. Tutti i sistemi sensoriali sono in uno stato di “allarme” con i filtri sottocorticali completamente aperti. Lo shopping natalizio in una strada familiare e rumorosa dove è facile scontrarsi con altri passanti ed essere inconsci del rumore del traffico, delle spinte e del trambusto, è una cosa diversa. I filtri di controllo sottocorticali sono chiusi ed è quello il momento in cui si può perdere il portafoglio o la borsa! I filtri uditivi tendono ad aprirsi e a monitorare suoni minacciosi “sotto la minaccia” di altri eventi di vita. Il sistema uditivo mostra una notevole capacità di individuare segnali deboli, se importanti, e di eliminare la coscienza dei suoni alti, quando questi sono irrilevanti. Per questo motivo la madre si sveglia immediatamente in piena notte quando il suo bambino emette un suono proprio prima di iniziare a piangere. In questa situazione non è improbabile che il marito e gli altri familiari continuano a dormire mentre il bambino piange.
fonte http://www.acufene.sardegna.it/acufene.htm
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Malattia renale cronica
Ne sono affetti due milioni e 200mila Italiani tra i 35 e gli 80 anni
La malattia renale cronica è una patologia in progressiva espansione nella società occidentale. Le stime più aggiornate quantificano in circa il 10% la popolazione affetta da patologie renali di diversa gravità. Infatti, il progressivo invecchiamento della popolazione, unitamente all’esplosione delle malattie metaboliche, tra cui il diabete, fa sì che da qui al 2020 raddoppierà il numero complessivo di persone in trattamento renale sostitutivo e, quindi, in dialisi o portatori di trapianto renale.
Se ne è parlato recentemente a Bari, in occasione dei 40 anni della Scuola di Specializzazione in Nefrologia dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, centro di riferimento nefrologico nel Mezzogiorno, al convegno “Le sfide della Nefrologia nel terzo millennio. Tra tecnologia, evidenze cliniche e sostenibilità della terapia personalizzata”.
Si stima che solo in Italia siano 2.2 milioni le persone di età compresa tra i 35 e gli 80 anni affette da insufficienza renale cronica (IRC). La pericolosità della IRC è legata al suo alto rischio cardiovascolare e di mortalità precoce. Da qui la necessità di una gestione della patologia più efficace, di una maggiore prevenzione e, soprattutto, di una più stretta collaborazione tra i nefrologi e tutti gli altri medici, in particolare i medici di famiglia, che possono per primi diagnosticare problemi iniziali o fattori di rischio per l’insufficienza renale.
Complessivamente in Italia, secondo i più recenti dati del censimento della Società Italiana di Nefrologia, ci sono 50mila pazienti che si sottopongono a dialisi ed ogni anno si registrano circa 10.000 nuovi casi di pazienti con insufficienza renale che necessitano di dialisi cronica.
In Italia operano 363 strutture pubbliche di Nefrologia e/o Dialisi, 303 strutture satellite dipendenti da queste ultime e 295 strutture private (circa il 30% del totale in gran parte localizzato al Sud) distribuite in 13 delle 20 regioni italiane. Complessivamente si tratta di 961 strutture, pari a 16,4 pmp che comprendono oltre 2700 posti letto di degenza nefrologica.
“Il continuo progresso della ricerca tecnologica internazionale in campo dialitico - dice il Professor Loreto Gesualdo direttore della U.O.C di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Università degli Studi di Bari - ha consentito grandi risultati. Tra le nuove tecniche la emodiafiltrazione on-line ad alti volumi ha portato a una diminuzione della mortalità del 30%, come peraltro dimostrato dallo studio catalano ESHOL condotto su 906 pazienti in emodialisi”. “Concettualmente - dice ancora Gesualdo - questa tecnica si basa sul principio di filtrare, durante il trattamento dialitico, la maggiore quantità possibile di sangue del malato per rimuovere la più alta quantità di tossine presenti e l’Italia è all’avanguardia in questo campo”.
“A fronte del progressivo incremento dei pazienti che accedono al trattamento dialitico con un conseguente incremento della spesa sanitaria e del costo sociale per il nostro Paese (costo stimato in ca. il 3% sul totale della spesa sanitaria) è indispensabile una sinergia tra Ricerca Universitaria e Imprese Biomediche per rendere disponibili innovazioni e nuove tecnologie. Questo - spiega Gesualdo - renderà possibile accrescere la qualità della terapia e preservare la sostenibilità finanziaria per la cura di patologie croniche quali l'insufficienza renale. Occorre, quindi, impegnarsi su più fronti, sviluppando prodotti e tecnologie innovative come quella della emodiafiltrazione on-line ad alti flussi, provvedendo alla reingegnerizzazione dei processi, curando le competenze professionali e scientifiche delle nuove generazioni di nefrologi”.
30 dicembre 2013 notizia tratta da www.quotidianosanita.it
Se ne è parlato recentemente a Bari, in occasione dei 40 anni della Scuola di Specializzazione in Nefrologia dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, centro di riferimento nefrologico nel Mezzogiorno, al convegno “Le sfide della Nefrologia nel terzo millennio. Tra tecnologia, evidenze cliniche e sostenibilità della terapia personalizzata”.
Si stima che solo in Italia siano 2.2 milioni le persone di età compresa tra i 35 e gli 80 anni affette da insufficienza renale cronica (IRC). La pericolosità della IRC è legata al suo alto rischio cardiovascolare e di mortalità precoce. Da qui la necessità di una gestione della patologia più efficace, di una maggiore prevenzione e, soprattutto, di una più stretta collaborazione tra i nefrologi e tutti gli altri medici, in particolare i medici di famiglia, che possono per primi diagnosticare problemi iniziali o fattori di rischio per l’insufficienza renale.
Complessivamente in Italia, secondo i più recenti dati del censimento della Società Italiana di Nefrologia, ci sono 50mila pazienti che si sottopongono a dialisi ed ogni anno si registrano circa 10.000 nuovi casi di pazienti con insufficienza renale che necessitano di dialisi cronica.
In Italia operano 363 strutture pubbliche di Nefrologia e/o Dialisi, 303 strutture satellite dipendenti da queste ultime e 295 strutture private (circa il 30% del totale in gran parte localizzato al Sud) distribuite in 13 delle 20 regioni italiane. Complessivamente si tratta di 961 strutture, pari a 16,4 pmp che comprendono oltre 2700 posti letto di degenza nefrologica.
“Il continuo progresso della ricerca tecnologica internazionale in campo dialitico - dice il Professor Loreto Gesualdo direttore della U.O.C di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Università degli Studi di Bari - ha consentito grandi risultati. Tra le nuove tecniche la emodiafiltrazione on-line ad alti volumi ha portato a una diminuzione della mortalità del 30%, come peraltro dimostrato dallo studio catalano ESHOL condotto su 906 pazienti in emodialisi”. “Concettualmente - dice ancora Gesualdo - questa tecnica si basa sul principio di filtrare, durante il trattamento dialitico, la maggiore quantità possibile di sangue del malato per rimuovere la più alta quantità di tossine presenti e l’Italia è all’avanguardia in questo campo”.
“A fronte del progressivo incremento dei pazienti che accedono al trattamento dialitico con un conseguente incremento della spesa sanitaria e del costo sociale per il nostro Paese (costo stimato in ca. il 3% sul totale della spesa sanitaria) è indispensabile una sinergia tra Ricerca Universitaria e Imprese Biomediche per rendere disponibili innovazioni e nuove tecnologie. Questo - spiega Gesualdo - renderà possibile accrescere la qualità della terapia e preservare la sostenibilità finanziaria per la cura di patologie croniche quali l'insufficienza renale. Occorre, quindi, impegnarsi su più fronti, sviluppando prodotti e tecnologie innovative come quella della emodiafiltrazione on-line ad alti flussi, provvedendo alla reingegnerizzazione dei processi, curando le competenze professionali e scientifiche delle nuove generazioni di nefrologi”.
30 dicembre 2013 notizia tratta da www.quotidianosanita.it
BPCO: perchè i fumatori si ammalano di più.
Studio CNR, ISMETT, Università Pittsburgh
I ricercatori del gruppo di Immunopatologia e farmacologia sperimentale dell’apparato respiratorio dell’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibim-Cnr) di Palermo hanno identificato nuovi meccanismi molecolari alla base della patogenesi della Broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), una patologia disabilitante che, secondo diversi studi, è in costante aumento ed è destinata a diventare la terza causa di morte entro il 2020.
Lo studio è stato condotto in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione (Ismett) di Palermo e dell’Università di Pittsburgh. I risultati della ricerca ‘Beta defensin-2 is reduced in central but not in distal airways of smoker COPD patients’, sono stati pubblicati recentemente su PlosOne.
“La Bpco è una malattia infiammatoria e ostruttiva delle vie aeree”, spiega Elisabetta Pace dell’Ibim-Cnr di Palermo. “La reazione infiammatoria, specie se di notevole intensità, oltre a comportare una distruzione tissutale, può interferire con i normali processi riparativi causando profonde alterazioni dell’architettura del tessuto. Sebbene sia noto che il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio, i meccanismi molecolari coinvolti nella patogenesi di questa patologia, invece, sono poco noti”.
In particolare, a predisporre il fumatore a contrarre la patologia nella forma conclamata, potrebbe essere una selettiva riduzione del marcatore ‘beta defensina 2’, che promuove le difese immunitarie innate di tipo anti-microbico nelle vie aeree centrali di calibro maggiore”.
“Questo difetto difensivo sposterebbe il baluardo anti-infettivo nelle vie aeree distali di calibro inferiore”, aggiunge Mark Gjomarkaj dell’Ibim-Cnr di Palermo, “generando così un elevato carico infiammatorio in un’area del polmone strutturalmente molto più delicata e vicina al settore deputato agli scambi gassosi”.
Lo studio si è avvalso di un approccio combinato ex-vivo e in vitro, valutando sia campioni chirurgici provenienti da pazienti affetti da Bpco, sia appositi sistemi/modelli di malattia generati dalla stimolazione di cellule delle vie aeree con estratti di fumo di sigaretta.
I risultati di questi studi, presentati all’European respiratoty society e all’American thoracic society, sono stati realizzati nel contesto del Center of excellence on chronic obstructive pulmonary disease, un network internazionale finanziato da GlaxoSmithkline.
fonte http://www.salutedomani.com
Lo studio è stato condotto in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione (Ismett) di Palermo e dell’Università di Pittsburgh. I risultati della ricerca ‘Beta defensin-2 is reduced in central but not in distal airways of smoker COPD patients’, sono stati pubblicati recentemente su PlosOne.
“La Bpco è una malattia infiammatoria e ostruttiva delle vie aeree”, spiega Elisabetta Pace dell’Ibim-Cnr di Palermo. “La reazione infiammatoria, specie se di notevole intensità, oltre a comportare una distruzione tissutale, può interferire con i normali processi riparativi causando profonde alterazioni dell’architettura del tessuto. Sebbene sia noto che il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio, i meccanismi molecolari coinvolti nella patogenesi di questa patologia, invece, sono poco noti”.
In particolare, a predisporre il fumatore a contrarre la patologia nella forma conclamata, potrebbe essere una selettiva riduzione del marcatore ‘beta defensina 2’, che promuove le difese immunitarie innate di tipo anti-microbico nelle vie aeree centrali di calibro maggiore”.
“Questo difetto difensivo sposterebbe il baluardo anti-infettivo nelle vie aeree distali di calibro inferiore”, aggiunge Mark Gjomarkaj dell’Ibim-Cnr di Palermo, “generando così un elevato carico infiammatorio in un’area del polmone strutturalmente molto più delicata e vicina al settore deputato agli scambi gassosi”.
Lo studio si è avvalso di un approccio combinato ex-vivo e in vitro, valutando sia campioni chirurgici provenienti da pazienti affetti da Bpco, sia appositi sistemi/modelli di malattia generati dalla stimolazione di cellule delle vie aeree con estratti di fumo di sigaretta.
I risultati di questi studi, presentati all’European respiratoty society e all’American thoracic society, sono stati realizzati nel contesto del Center of excellence on chronic obstructive pulmonary disease, un network internazionale finanziato da GlaxoSmithkline.
fonte http://www.salutedomani.com
Nell’1 per cento dei casi colpisce gli uomini. Tendenza in aumento
Ghiandola mammaria, tumore anche maschile
Sintomi sottovalutati e troppi tabù rendono più insidiosa una malattia in larga parte curabile. Prevenzione non solo «faccenda di donne».
MILANO – E’ una malattia tipicamente femminile, ma non esclusiva del gentil sesso: il tumore della mammella può colpire anche gli uomini e, anzi, il numero dei casi maschili è addirittura raddoppiato negli ultimi cinque anni. Pochi ne sono informati e molti non considerano neppure la remota eventualità che la ghiandola mammaria (di cui anche i maschi sono dotati, sia pur in forma ridotta rispetto alle donne) possa essere un’area da tenere sotto controllo.TRECENTO CASI L’ANNO - Sebbene in aumento, il carcinoma mammario maschile resta una patologia piuttosto rara, rappresentando soltanto l’uno per cento di tutte le nuove diagnosi di tumore al seno in Italia (circa 32mila ogni anno). Colpisce però sempre più spesso uomini con meno di 45 anni, mentre fino a poco tempo fa la fascia d’età interessata era tra i 60 e i 70 anni.
Le cause di questi cambiamenti non sono ancora del tutto chiare, anche se, dicono gli esperti, sono legate a fattori genetici. E’ già noto, ad esempio, che le mutazioni del gene BRCA2 si associano nell’uomo ad un aumentato rischio ereditario di cancro alla ghiandola mammaria, ma nella lista degli “indiziati” sono state aggiunte altre variazioni genetiche. Recenti indagini epidemiologiche hanno poi ipotizzato pericoli legati a stili di vita sbagliati, come il sovrappeso in giovane età e la scarsa attività fisica, oltre a elevati livelli di estrogeni sempre più diffusi nell’ambiente, contenuti in pesticidi, diserbanti o additivi alimentari che finiscono per via indiretta nei nostri cibi.
UN RISCHIO SOTTOVALUTATO - Secondo i dati recentemente raccolti dall’Istituto Nazionale dei Tumori - Fondazione Pascale di Napoli, in collaborazione con gli oncologi del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, c’è però un fattore incoraggiante: oltre il 70 per cento dei pazienti sopravvive alla malattia. E la percentuale potrebbe essere superiore, se gli uomini fossero più informati e pronti a riconoscere i primi sintomi. «Non è il caso di allarmarsi - precisa subito Giuseppe D'Aiuto, direttore dell’Unità di Senologia del Pascale - ma è necessario ricordare agli uomini il ruolo fondamentale della prevenzione, perché purtroppo, nonostante i sintomi e i segni del carcinoma mammario nell’uomo siano abbastanza precoci, il tumore viene spesso diagnosticato in fase avanzata». Il motivo? Una sottovalutazione del problema da parte del paziente e, certe volte, anche del medico di famiglia, molto più “predisposto” a riconoscere una tumefazione sospetta in una donna. Nei maschi, specie nei giovani, esiste poi una sorta di blocco psicologico diffuso di fronte a una malattia che per secoli è stata identificata come femminile. Ci vuole quindi una maggiore consapevolezza “virile”, che significa non vergognarsi dell’autopalpazione o, quando necessario, non imbarazzarsi nel contattare uno specialista per effettuare un’ecografia mammaria o una mammografia.
DIAGNOSI PRECOCE PIU’ SEMPLICE - Infatti, indipendentemente dal sesso del paziente, la diagnosi precoce è fondamentale per una buona prognosi. In un uomo, poi, è persino più facile riconoscere tempestivamente i primi segni di malattia perché, grazie alla scarsità del tessuto ghiandolare, è più agevole individuare l’esistenza di un nodulo. E la presenza di microcalcificazioni, anche poco numerose o di forma regolare, deve sempre costituire un elemento di allarme, perché quelle benigne sono eccezionali nella ghiandola mammaria maschile. Altrettanta attenzione merita negli uomini adulti l’aumento di volume della mammella (ginecomastia), che può essere associata a particolari patologie, come il cancro del testicolo, la cirrosi epatica o le disfunzioni tiroidee, oppure può manifestarsi in conseguenza dell’assunzione di alcuni farmaci (estrogeni, metoclopramide, spironolattone, cimetidina). Nessun timore, invece, se la ginecomastia si presenta in un ragazzo, poiché l’ingrossamento della ghiandola mammaria è un fenomeno tipico delle modificazioni ormonali che si verificano durante la pubertà e in genere si risolve spontaneamente nell’arco di pochi mesi.
I TRATTAMENTI - Una volta accertata la presenza di un tumore, le terapie previste per il carcinoma mammario sono le stesse per tutti i pazienti: se la diagnosi è stata precoce, spesso si può procedere con un intervento chirurgico risolutivo. L’operazione prevede l’asportazione totale della ghiandola mammaria, con la cute soprastante e il complesso areola-capezzolo (mastectomia totale), e di tutti i linfonodi ascellari. Se questi ultimi risultano intaccati dalla malattia, dopo l’intervento si ricorre alla chemio o alla radioterapia. E nei casi in cui il tumore risulti positivo ai recettori per gli estrogeni, si procede al trattamento ormonale con il farmaco anti-estrogeno tamoxifene. Decisive per gli uomini sembrano essere però le nuove molecole ormonali appartenenti alla classe degli antiaromatasi, utilizzate con crescente frequenza nei tumori ormono-sensibili e fino a poco tempo fa impiegate esclusivamente contro le neoplasie al seno femminili.
All’Istituto Tumori di Napoli, infine, è stato avviato uno studio per testare l’efficacia chirurgica del linfonodo sentinella anche nei pazienti di sesso maschile. «I dati preliminari - conclude D’Aiuto - sono incoraggianti e questa tecnica ci aiuterà a ridurre anche le complicanze dell’edema del braccio (il gonfiore che può subentrare dopo l’asportazione dei linfonodi, ndr), migliorando la qualità di vita dei malati».
Vera Martinella fonte http://www.corriere.it/salute
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Le cause di questi cambiamenti non sono ancora del tutto chiare, anche se, dicono gli esperti, sono legate a fattori genetici. E’ già noto, ad esempio, che le mutazioni del gene BRCA2 si associano nell’uomo ad un aumentato rischio ereditario di cancro alla ghiandola mammaria, ma nella lista degli “indiziati” sono state aggiunte altre variazioni genetiche. Recenti indagini epidemiologiche hanno poi ipotizzato pericoli legati a stili di vita sbagliati, come il sovrappeso in giovane età e la scarsa attività fisica, oltre a elevati livelli di estrogeni sempre più diffusi nell’ambiente, contenuti in pesticidi, diserbanti o additivi alimentari che finiscono per via indiretta nei nostri cibi.
UN RISCHIO SOTTOVALUTATO - Secondo i dati recentemente raccolti dall’Istituto Nazionale dei Tumori - Fondazione Pascale di Napoli, in collaborazione con gli oncologi del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, c’è però un fattore incoraggiante: oltre il 70 per cento dei pazienti sopravvive alla malattia. E la percentuale potrebbe essere superiore, se gli uomini fossero più informati e pronti a riconoscere i primi sintomi. «Non è il caso di allarmarsi - precisa subito Giuseppe D'Aiuto, direttore dell’Unità di Senologia del Pascale - ma è necessario ricordare agli uomini il ruolo fondamentale della prevenzione, perché purtroppo, nonostante i sintomi e i segni del carcinoma mammario nell’uomo siano abbastanza precoci, il tumore viene spesso diagnosticato in fase avanzata». Il motivo? Una sottovalutazione del problema da parte del paziente e, certe volte, anche del medico di famiglia, molto più “predisposto” a riconoscere una tumefazione sospetta in una donna. Nei maschi, specie nei giovani, esiste poi una sorta di blocco psicologico diffuso di fronte a una malattia che per secoli è stata identificata come femminile. Ci vuole quindi una maggiore consapevolezza “virile”, che significa non vergognarsi dell’autopalpazione o, quando necessario, non imbarazzarsi nel contattare uno specialista per effettuare un’ecografia mammaria o una mammografia.
DIAGNOSI PRECOCE PIU’ SEMPLICE - Infatti, indipendentemente dal sesso del paziente, la diagnosi precoce è fondamentale per una buona prognosi. In un uomo, poi, è persino più facile riconoscere tempestivamente i primi segni di malattia perché, grazie alla scarsità del tessuto ghiandolare, è più agevole individuare l’esistenza di un nodulo. E la presenza di microcalcificazioni, anche poco numerose o di forma regolare, deve sempre costituire un elemento di allarme, perché quelle benigne sono eccezionali nella ghiandola mammaria maschile. Altrettanta attenzione merita negli uomini adulti l’aumento di volume della mammella (ginecomastia), che può essere associata a particolari patologie, come il cancro del testicolo, la cirrosi epatica o le disfunzioni tiroidee, oppure può manifestarsi in conseguenza dell’assunzione di alcuni farmaci (estrogeni, metoclopramide, spironolattone, cimetidina). Nessun timore, invece, se la ginecomastia si presenta in un ragazzo, poiché l’ingrossamento della ghiandola mammaria è un fenomeno tipico delle modificazioni ormonali che si verificano durante la pubertà e in genere si risolve spontaneamente nell’arco di pochi mesi.
I TRATTAMENTI - Una volta accertata la presenza di un tumore, le terapie previste per il carcinoma mammario sono le stesse per tutti i pazienti: se la diagnosi è stata precoce, spesso si può procedere con un intervento chirurgico risolutivo. L’operazione prevede l’asportazione totale della ghiandola mammaria, con la cute soprastante e il complesso areola-capezzolo (mastectomia totale), e di tutti i linfonodi ascellari. Se questi ultimi risultano intaccati dalla malattia, dopo l’intervento si ricorre alla chemio o alla radioterapia. E nei casi in cui il tumore risulti positivo ai recettori per gli estrogeni, si procede al trattamento ormonale con il farmaco anti-estrogeno tamoxifene. Decisive per gli uomini sembrano essere però le nuove molecole ormonali appartenenti alla classe degli antiaromatasi, utilizzate con crescente frequenza nei tumori ormono-sensibili e fino a poco tempo fa impiegate esclusivamente contro le neoplasie al seno femminili.
All’Istituto Tumori di Napoli, infine, è stato avviato uno studio per testare l’efficacia chirurgica del linfonodo sentinella anche nei pazienti di sesso maschile. «I dati preliminari - conclude D’Aiuto - sono incoraggianti e questa tecnica ci aiuterà a ridurre anche le complicanze dell’edema del braccio (il gonfiore che può subentrare dopo l’asportazione dei linfonodi, ndr), migliorando la qualità di vita dei malati».
Vera Martinella fonte http://www.corriere.it/salute
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Economista e dottore in scienze sociali, è professore titolare di Comunicazione e Economia sanitaria all`USI e professore invitato di Economia e politica sanitaria presso l´Institut d´Économie et de Management de la Santé dell´Università di Losanna. È stato per 37 anni direttore della Sezione Sanitaria del Dipartimento della Sanità e della Socialità del Cantone Ticino e direttore dell´Università estiva in amministrazione e gestione dei servizi sanitari (in collaborazione con l´Università di Montréal). I campi principali di ricerca includono l´impatto dell´informazione sull´espressione delle preferenze e sui comportamenti dei pazienti-consumatori, l´empowerment della domanda, l’impatto delle condizioni di lavoro sulla salute nonché il futuro dei sistemi sanitari ‘universali’. E' stato consulente dell´Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e consulente temporaneo del Consiglio d´Europa . Ha diretto e dirige tutt`ora diversi programmi di cooperazione e formazione nei paesi dell’Europa del Sud-Est nell´ambito dei progetti di sviluppo e di cooperazione della DSC del Dipartimento Federale degli Affari Esteri.
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Professor Gianfranco Domenighetti ha scritto:"L'aspirina (acido acetilsalicilico), che si può acquistare a poco costo in farmacia senza ricetta medica, è probabilmente il più potente farmaco che preso regolarmente quando si è in buona salute è in grado di ridurre nel futuro il rischio di decesso per tumore. Già alcuni studi pubblicati sulle più importanti riviste mediche del mondo avevano mostrato che chi consumava regolarmente aspirina aveva una mortalità significativamente inferiore per alcuni tipi di tumore. Ora un`importante studio pubblicato a dicembre sulla prestigiosa rivista inglese Lancet dimostrava che prendendo regolarmente un`aspirina si riduceva dopo 5 anni del 20% il rischio globale di morire di tumore e del 30% dopo 7,5 anni ( 30% per il tumore al polmone, 35% per quello all`intestino, 40% al colon, 60% all`esofago. ecc). Il beneficio si manifestava dopo 5 anni di presa giornaliera di un`aspirina (indipendentemente dalla dose) e cresceva nel tempo. L'aspirina, sintetizzata nel 1887 dal chimico tedesco Felix Hoffmann, è probabilmente con gli antibiotici il farmaco più straordinario e di maggior successo della storia. Oltre ad essere un analgesico, un antipiretico, un antiinfiammatorio, è utilizzato per curare alcune complicazioni della gravidanza, per la prevenzione primaria e soprattutto secondaria dell`infarto e dell`ictus ischemico. L'aspirina ha tuttavia anche degli effetti secondari il più importante dei quali è rappresentato dai sanguinamenti (ulcere) gastro-intestinali ( circa 1 caso ogni 1.000 persone all`anno che prendono giornalmente aspirina), inoltre essa può leggermente aumentare il rischio di ictus emorragico, rischio quest`ultimo abbondantemente compensato dalla riduzione di quello ischemico e di altri eventi cardiovascolari. Concludendo, il rapporto beneficio/ rischio è ampiamente favorevole al consiglio di raccomandare la presa quotidiana di un`aspirina a basso dosaggio (75 mg ) a partire dai 40-50 anni . Vista l`importanza del beneficio (diminuire il rischio di ammalarsi e morire per un tumore e di fare un infarto o un ictus ischemico) in rapporto agli effetti indesiderati è giudizioso non attendere ulteriori conferme scientifiche che, tra l`altro, se fondate su studi ancora da programmare, non saranno disponibili che tra una decina, se non una ventina di anni. Conferme che tra l`altro non potranno mai venire da studi finanziati dell`industria visto che l`aspirina è un farmaco “libero” da brevetti e che tutti possono copiare, inoltre il suo principio attivo ( l`acido acetilsalicilico ) è alla base di altri preparati con nomi diversi, come ad esempio l`Alka Seltzer. Che non valga la pena di perder tempo la pensa anche il professor Carlo La Vecchia dell`Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri che sul Corriere dell`8 dicembre scorso affermava “sono favorevole all`uso dell`aspirina anche perché ormai i tumori colpiscono una buona percentuale della popolazione”. Opinione identica quella del professor Peter Elwood dell'Università di Cardiff che ha studiato per 40 anni l`impatto dell`aspirina sulla salute e osserva come oggigiorno la decisione di prendere regolarmente un`aspirina va vista nella stessa ottica della promozione di stili di vita favorevoli alla salute. Di opinione diversa invece quella di Carmelo Iacono presidente della società italiana di oncologia medica che, sempre sul Corriere dell`8 dicembre, considera i risultati dello studio inglese “come indicativi e che dovranno essere verificati da ulteriori sperimentazioni prima di tradurli nella pratica medica”. Ora staremo a vedere se gli oncologi se la sentiranno di dare alla popolazione anche il consiglio di prendere un`aspirina a partire dai 40-50 anni oppure se preferiranno non dire nulla o sconsigliare per poi avere più ammalati di tumore su cui sperimentare, finanziati dall`industria, i cosiddetti nuovi farmaci “intelligenti” dal costo elevatissimo e che, per la quasi totalità, prolungano la vita da qualche settimana a qualche mese con effetti indesiderati sovente molto importanti. Non sarebbe per nulla sorprendente se anche gli oncologi da qualche settimana abbiano iniziato a prendere la sera prima di dormire, con un bicchiere di latte per proteggere la mucosa gastro-intestinale, una “baby” aspirina di 75 mg."
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DAL CORRIERE DELLA SERA.it - CARDIOLOGIA
SU LANCET
L'aspirina a basso dosaggio protegge dai tumori: analisi su 77 mila europei
Ridotto del 23% il numero dei casi di cancro dopo soli tre anni di assunzione.
I medici: «Prudenza, servono altri studi»
L’aspirina non solo protegge il cuore, ma anche dal rischio di sviluppare un cancro. Sono i risultati di un’analisi condotta per più di tre anni su 77 mila pazienti in cura con bassi dosaggi di aspirina per problemi cardiovascolari. Sia uomini sia donne. Vi hanno preso parte diversi centri europei. E si è visto che, a distanza di tempo, l’incidenza e la mortalità per cancro nei soggetti studiati è stata nettamente inferiore rispetto al resto della popolazione. Una protezione anti-cancro non limitata al solo colon-retto. Bensì, ed è questa la novità, verso qualsiasi tipo di tumore.
IN ITALIA - Per l’Italia hanno partecipato allo studio l’Istituto auxologico italiano e il Mario Negri di Milano. La ricerca ha preso in esame i dati di 51 trial originariamente pensati per valutare l’effetto cardiovascolare. I primi dati sono stati sorprendenti e pubblicati dalla rivista scientifica Lancet: il 15% in meno di rischio di morte per cancro in quanti hanno assunto il farmaco rispetto a chi non lo ha preso. Questo in generale. La protezione sale e il rischio mortalità scende del 35% in chi assume aspirina da oltre 5 anni. Una bassa dose giornaliera di aspirina, inoltre, sembra sufficiente a ridurre del 23% il numero dei casi di cancro dopo soli tre anni di assunzione, sia nei maschi sia nelle femmine.
LA PRUDENZA - Il ridotto rischio di eventi cardiovascolari importanti sembrava inizialmente compensato da un aumento del rischio di emorragie gastro-enteriche, ma entrambi gli effetti si sono ridotti aumentando il follow-up, lasciando l’importante risultato della riduzione del rischio da cancro. Alberto Zanchetti, direttore scientifico dell’Istituto auxologico italiano, commenta: «Fino ad oggi abbiamo suggerito prudenzialmente l’uso dell’aspirina in soggetti con basso rischio cardio-vascolare, laddove il modesto rischio cardio-vascolare è pareggiato da un modesto rischio di andare incontro ad una emorragia gastro-enterica. Davanti a questi dati, forse noi medici dovremmo essere meno cauti nel consigliare l’uso dell’aspirina a basso dosaggio anche nella prevenzione del cancro. Ovviamente, trattandosi di un’analisi, pur condotto con tutte le accortezze e i crismi del caso da più centri di ricerca qualificati, sarebbe opportuno procedere ora con uno studio più specifico e approfondito, focalizzato su aspirina e cancro. I risultati che abbiamo pubblicato invogliano fortemente a intraprenderlo». Resta comunque un fatto, una volta esclusi i soggetti a rischio emorragia gastro-enterica, prendere un’aspirina a basso dosaggio al giorno sembra proprio tenere lontano il rischio cancro.
Mario Pappagallo
IN ITALIA - Per l’Italia hanno partecipato allo studio l’Istituto auxologico italiano e il Mario Negri di Milano. La ricerca ha preso in esame i dati di 51 trial originariamente pensati per valutare l’effetto cardiovascolare. I primi dati sono stati sorprendenti e pubblicati dalla rivista scientifica Lancet: il 15% in meno di rischio di morte per cancro in quanti hanno assunto il farmaco rispetto a chi non lo ha preso. Questo in generale. La protezione sale e il rischio mortalità scende del 35% in chi assume aspirina da oltre 5 anni. Una bassa dose giornaliera di aspirina, inoltre, sembra sufficiente a ridurre del 23% il numero dei casi di cancro dopo soli tre anni di assunzione, sia nei maschi sia nelle femmine.
LA PRUDENZA - Il ridotto rischio di eventi cardiovascolari importanti sembrava inizialmente compensato da un aumento del rischio di emorragie gastro-enteriche, ma entrambi gli effetti si sono ridotti aumentando il follow-up, lasciando l’importante risultato della riduzione del rischio da cancro. Alberto Zanchetti, direttore scientifico dell’Istituto auxologico italiano, commenta: «Fino ad oggi abbiamo suggerito prudenzialmente l’uso dell’aspirina in soggetti con basso rischio cardio-vascolare, laddove il modesto rischio cardio-vascolare è pareggiato da un modesto rischio di andare incontro ad una emorragia gastro-enterica. Davanti a questi dati, forse noi medici dovremmo essere meno cauti nel consigliare l’uso dell’aspirina a basso dosaggio anche nella prevenzione del cancro. Ovviamente, trattandosi di un’analisi, pur condotto con tutte le accortezze e i crismi del caso da più centri di ricerca qualificati, sarebbe opportuno procedere ora con uno studio più specifico e approfondito, focalizzato su aspirina e cancro. I risultati che abbiamo pubblicato invogliano fortemente a intraprenderlo». Resta comunque un fatto, una volta esclusi i soggetti a rischio emorragia gastro-enterica, prendere un’aspirina a basso dosaggio al giorno sembra proprio tenere lontano il rischio cancro.
Mario Pappagallo
Dieta mediterranea protegge da ictus
Olio oliva,pesce,frutta,verdura,vino e dolci proteggono il cuore
Chi si alimenta con i cibi tipici dell'alimentazione mediterranea ha un rischio inferiore del 30% di incorrere in patologie cardiovascolari, in particolare dall'ictus. Lo attesta una ricerca spagnola svolta all'Hospital Clinic di Barcellona su 7.500 soggetti, pubblicata sul New England Journal of Medicine.
fonte ANSA 2013
Olio oliva,pesce,frutta,verdura,vino e dolci proteggono il cuore
Chi si alimenta con i cibi tipici dell'alimentazione mediterranea ha un rischio inferiore del 30% di incorrere in patologie cardiovascolari, in particolare dall'ictus. Lo attesta una ricerca spagnola svolta all'Hospital Clinic di Barcellona su 7.500 soggetti, pubblicata sul New England Journal of Medicine.
fonte ANSA 2013